Centro Italiano di Meditazione



Mi chiamo Susan. Sono una donna della medio-alta borghesia americana. Vivo a Seattle con mio marito, 3 figli e un cane. No, non preoccupatevi, non ho alcuna intenzione di raccontarvi tutta la mia vita, ma solo quello che improvvisamente ho svelato.
Sono sempre stata una donna ‘apparentemente’ forte e determinata. Nella mia famiglia ero considerata quella che “sapeva” prendere le decisioni e stabilire la rotta giusta.
Ovviamente nessuno ci conosce veramente. Neppure noi stessi. La gente tende ad affibbiarti ruoli in cui spesso si rimane imprigionati per sempre. Si finisce per vivere una vita imbastita intorno ai propri contorni, ma di cui non si conoscono profondamente le implicazioni.
SuttaMagga
ARTICOLO
La cessazione di un'aberrazione
La mente scimmia
Scoprire che la nostra mente è come una scimmia in continuo movimento e in costante insoddisfazione. Conoscere la propria mente, entrare nell'inizio del Risveglio, per dirigersi verso la fine del Sentiero.
Spesso, quando si è giovani, si avvertono tanti allarmi che scattano nelle nostre menti avvilite e confuse. Ma l’impeto ad andare avanti, la voglia di distrarsi sono così trascinanti da dimenticarsi veramente di se stessi.
Accanto ad una ‘vita americana’ apparentemente perfetta, soggiacevano in me insoddisfazione, manie, controllo e tutta una lista di aberrazioni psichiche che per la loro natura ti imprigionano, concedendoti ogni tanto piccoli permessi premio, che ti impediscono non solo di impazzire, ma di considerarti anormale. Si vive un’anormalità accettata, condivisa con il resto del mondo, all’interno di spazi stabiliti e consentiti di stranezze e nevrosi, come galline al pascolo in grandi gabbie, illuse di essere libere e di avere tutta la terra a disposizione.
In questo clima mentale di insoddisfazione più o meno sottile, scoprii l’opportunità di un ritiro di meditazione, condotto da un Maestro di cui non conoscevo neppure il nome, ma solo gli intenti e le promesse. Piombai nella torrida estate del mid-west americano con le aspettative di colei che prova un’ennesima dieta, senza troppe illusioni, ma ancora con una scintilla di speranza di incontrare qualcosa di meglio.
Avevo meditato in passato in alcuni centri Zen a Seattle e avevo partecipato ad un ritiro nella tradizione tibetana. Ma il ricordo che avevo di queste esperienze era quello di una vacanza più o meno interessante. Nulla di spirituale e profondo era scattato in me. Avevo sempre pensato fino ad allora che la mia natura era piuttosto pragmatica e che possedevo pochi aneliti di slanci spirituali.
Mi avvicinai a questo ultimo ritiro con un’indifferenza al mondo del Buddha storico identica a quella con la quale si partecipa ad una celebrazione di un lontano parente, piena di gente di cui non si conoscono sorti e passati.
I primi giorni di ritiro furono pesanti. Le condizioni climatiche e le discutibili strutture in cui si dimorava, misero a dura prova l’abitudine ai miei agi e alle mie comodità. Il Maestro era piuttosto simpatico, molto presente e assertivo. Infondeva in ogni discorso privato e pubblico una tale energia e vitalità da chiedersi se facesse uso di sostanze dopanti. Non era mai stanco, mai di cattivo umore, mai insincero anche se sempre gentile nel forzare le nostre perplessità.
Progredii celermente, come anche gli altri del gruppo, e dopo 8 giorni avevo già toccato il 7 Jhana o stati meditativi profondi di cui fino a quel momento non avevo mai sentito parlare, figuriamoci sperimentare. Arrivata alle soglie dell’ultimo Jhana, l’ottavo, cominciai a rimanere in meditazione per tempi sempre più lunghi.
In questi tempi lunghi la mia mente per la prima volta era sottile come un capello e al tempo stesso spaziosa come l’intero cosmo. E’ difficile pensare ad una persona come me che potesse stare ferma tutto quel tempo. Non riuscivo neppure a sopportare una fila alle casse del supermercato, figurarsi stare ferma per ore senza muovere neppure un singolo dito.
Anche se riuscivo a rimanere per oltre 2 ore in meditazione senza alcuna difficoltà e con la profondissima calma del 7° Jhana, improvvisamente interrompevo la meditazione, perché la mia mente la riteneva oltremodo lunga e inutile. Nonostante il mio Maestro mi avvertisse dei pericoli del mio ego che voleva appropriarsi di quegli spazi in cui non gli era concesso intromettersi, continuavo a interrompere la meditazione proprio nel momento in cui avrei potuto fare un balzo in avanti importante.
Ci volle tutta la maestria e pazienza del mio Maestro per evitare che interrompessi la meditazione dopo un tempo che pensavo fosse giusto. Il problema è sempre questo: si crede di sapere cosa è giusto, senza sospettare minimamente quanto si è completamente orbi di qualsiasi consapevole coscienza.
Il Maestro ebbe la favolosa idea di costringermi a sedere accanto a lui durante le sedute di meditazione. Questo ovviamente allungò i tempi delle mie sedute, ma all’improvviso come un falco che in picchiata punta la preda, cercavo di districarmi da quella pace che mi circondava. Il Maestro oltre a trattenermi, mi spiegò con calma e determinazione che le mie erano solo crisi di astinenza di una psiche intossicata di sollecitazioni. Sebbene i Jhana avessero curato molte delle mie storture dettate dall’ansia e dal controllo, erano solo pochi giorni che il processo era iniziato. Personalmente per me era già un miracolo e poteva finire anche lì. Mai avrei creduto di avere tanta cooperazione e pace nella mia vita. Ma il Maestro insisteva nel dover tentare di scoprire se potessi andare oltre.
Fu grazie proprio alla sua determinazione e al suo improvvisarsi guardiano delle mie sessioni sedute, che arrivai all’ottavo Jhana e dopo all’interno di uno spazio magico, in cui per molti minuti si sperimentano dei veri e propri blackout della propria coscienza. In quei tempi più o meno lunghi si ha la sensazione di essersi addormentati e di essere assenti per pochi secondi, come un battito di ciglia. Ma il periodo in realtà corrisponde anche a parecchie decine di minuti.
Negli insegnamenti del Buddha storico questi stadi vengono chiamati Nirodha o Cessazione. Cessazione delle percezioni della nostra coscienza, che accede improvvisamente agli stadi più profondi della nostra mente dove si può sperimentare il Nibbana o la totale liberazione.
I miei blackout furono 3. Due di essi non portarono ad alcun segno specifico di qualcosa di speciale. L’ultimo ebbe l’impeto di uno scossone che fece crollare le mie psico-nevrosi per sempre.
Rimasi nel black-out per pochi istanti secondo le mie percezioni, ma il tempo reale fu di circa 20 minuti. Fra tutti e tre, fu quello più lungo. E il più fruttuoso.
Quando ne riemersi vidi dipanarsi davanti a me qualcosa che è difficilissimo descrivere, ma che corrisponde al vedere davanti ai propri occhi la catena di eventi che portano alla formazione delle nostre coscienze e alla formazione della sofferenza. Improvvisamente dinnanzi a me si dipanava il mistero della mente umana, con i suoi trabocchetti, la sua cieca rincorsa in posizioni dove regna solo l’ignoranza.
La sensazione che ebbi subito dopo fu di essere così sollevata da sentire di non toccare più terra. Il grosso masso della sofferenza che mi aveva finalmente abbandonato mi aveva reso libera di molte gabbie e allo stesso tempo leggera come una piuma. Subito dopo mi inondò un oceano di felicità mai provata, come se respirassi per la prima volta e sentissi il sapore dell’ossigeno nel mio sangue.
Tutto divenne chiaro davanti a me e dentro di me, come quando un edificio malconcio e fatiscente improvvisamente si sgretola sotto la forza invisibile della verità.
Il mio Maestro, di cui la memoria e gratitudine ora è impressa indelebilmente dentro di me mediante un’unione mentale che non ritenevo possibile, mi annunciò che in quell’istante avevo scavalcato la prima staccionata verso il Nibbana. Ci sono 4 stadi che possono presentarsi in questi black-out e io ne avevo sperimentato solo il primo e mi sentivo già in paradiso. La definizione per quelli che sperimentano questa prima liberazione è ‘coloro che entrano nella corrente del fiume che conduce alla liberazione ultima’.
Se si potesse raccontare il grande sogno in cui viviamo, saremmo tutti liberi all’istante. Quante illusioni nella mia vita hanno preso posto e quanto tempo perso in inutili gratificazioni e rifugi. Oggi conosco il Buddha e i suoi insegnamenti. Oggi ne sento la costante presenza e sento il loro fluire dentro di me.
Finalmente qualcosa ha riacceso questa stanza dove soggiornavo al buio, cieca, improvvisando senza una meta, senza sapere, afflitta da mille aberrazioni che la luce del Dhamma ha dissolto per sempre. Una luce che ora accompagna ogni mio passo e che illumina l’ultimo tratto di questo meraviglioso percorso.
Grazie Maestro.
NIRODHA
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