Centro Italiano di Meditazione
Le seguenti domande e risposte sono simulazioni di contenuti veri, estratti durante le perpetue ore di lezione, le lettere e gli incontri con gli allievi.
C’è tanta saggezza nella confusione che affiora alle nostre menti se sappiamo come accoglierla, rivelarla e non, invece, interpretarla, poiché un’interpretazione presuppone un certo grado di rimaneggiamento, un ripasso, un prodotto di seconda mano. Lasciamo emergere la saggezza dei dubbi che ci scuotono, che ci svegliano e lasciamoci trasportare dalla saggezza della pratica, che risponde e ci guida.
SuttaMagga
ARTICOLO
Simulazioni di Dhamma
La saggezza del dubbio e le sue risposte
C'è tanta saggezza nei pensieri, dubbi e attaccamenti se li vediamo sotto la luce potente e guaritrice del Dhamma.
DUBBIO: Spesso ho la sensazione di arrancare, di annaspare in un brodo fatto di pensieri negativi su me stesso e sugli altri. Eppure mi applico molto. Cosa devo fare?
PRATICA: Sei sicuro di applicarti molto? In che modo ti applichi. La tua meditazione è maturata al punto da costituire ampi spazi meditativi? Applichi la meditazione camminata ed in azione? Applichi il Dhamma e le sue leggi in tutte le sue manifestazioni?
DUBBIO: Beh, no... hahaha... che c’entra. Non sono mica ancora così avanti. Mi applico il più possibile. Questo sì.
PRATICA: Definisci possibile.
DUBBIO: Ad esempio, non medito tutti i giorni, ma comunque faccio uno sforzo per farlo non appena il tempo e gli impegni me lo concedono. Cerco a volte di applicare i precetti e gli insegnamenti, anche se non li ricordo tutti. Ma quelli che ricordo li applico in larga parte e solitamente non sono una persona né malvagia, né aggressiva.
PRATICA: La pratica è il nutrimento della nostra mente. E’ ciò che serve a renderla malleabile, rispondente e perfettamente integrata nella quotidianità. Nutrirla a caso e saltuariamente può avere solo l’effetto di una malnutrizione, proprio come può succedere per il nostro corpo fisico. Non funzionerebbe al meglio e si ammalerebbe. Quando ci si fa il bagno ci si immerge totalmente e non solo i piedi. Quando si impara una lingua non si imparano solo i verbi di movimento e si tralascia tutto il resto. Ci si applica nella totalità.
DUBBIO: Sì, ma non è troppo presto? In fondo io mi sto applicando, ma è chiaro che le difficoltà ci sono e che i risultati verranno prima o poi.
PRATICA: Tu sembri confondere i risultati con l’applicazione. I risultati non possiamo anticiparli, né certificarli, ma solo ipotizzarli al momento. L’applicazione è una serie di azioni che vanno perpetrate senza preoccuparsi dei risultati che arriveranno. La scienza non è andata avanti perché ci siamo fermati al minimo, al necessario o all’indispensabile. Per essere scienziati bisogna essere curiosi, essere dei pionieri. E così in ogni campo della nostra umanità. La stessa cosa è la pratica. Bisogna sempre dimorare nella Retta Intenzione, ossia la voglia e la determinazione di andare in quella direzione.
DUBBIO: Io ci provo, ma a volte è difficile. Non è una forzatura andare oltre?
PRATICA: Per sperimentare, capire ed avanzare dobbiamo uscire dal nostro guscio di conforto. Che poi tanto confortevole non è, se è pieno di così tante contraddizioni, ansia, rabbia, paure e preoccupazioni. Certo che è una forzatura, così come fare il sollevamento pesi è una forzatura per i muscoli che si adatteranno e cresceranno. Si potrebbe vedere tutto questo come uno stimolo. La sensazione di difficoltà nasce nella nostra mente, che vuole il minimo impegno e il massimo risultato. Ciò che è veramente difficile è vivere una vita che non ci appartiene, alla mercé di ogni singola emozione, confinandoci in prigioni di cui non conosciamo le dimensioni e le origini. La difficoltà risiede nella nostra ignoranza, nel nostro continuo lamentarci di come vorremmo essere diversi, migliori, più attenti, più felici e di come invece giustifichiamo ogni azione e ogni pensiero che ci porta nella direzione opposta. Il problema sembra essere quanto raggiungiamo, quali risultati otteniamo. Questa è una visione tipicamente occidentale consumistica. Il problema non è nemmeno quanto ci impegniamo, ma è piuttosto quanto lo vogliamo, quanto è presente nei nostri pensieri e nei nostri intenti. Il Buddha diceva che la vita di domani sono i pensieri di oggi. E’ lì l’origine di tutto. Quindi coltiva pensieri di armonia, di compassione e di unione.
DUBBIO: Ma non è una sorta di buonismo questo sottolineare la compassione? Non è un impegno di tipo religioso? Io in fondo non sono interessato alle religioni?
PRATICA: Il Buddha non insegnava il raggiungimento di tali frutti per spirito religioso, per accaparrarci un posto in un paradiso in cui non credeva. Se vogliamo proprio essere cinici e freddi, tutto questo SERVE alla meditazione, alla mente. Il Buddha scoprì che il sentiero della liberazione, della pace e di una mente funzionale passa per questi stati mentali, come la compassione, ed essi NON sono opzionali. Ne sono la naturale conseguenza, ma anche il presupposto. Lo sviluppo di una mente sana è attraversato dallo sviluppo parallelo di stati mentali genuini e salubri, come la compassione. E' come se tali stati fossero delle chiavi che dischiudono porte di dimore sublimi. Sono dimore in cui sviluppare le qualità mentali di pace, armonia e serenità. Le qualità del risveglio. Sono le dimore ove sostare prima di accedere al Nibbana. Inoltre, la meditazione che noi facciamo al Centro Italiano di Meditazione Dhamma Sukha si applica con l’ausilio della generosità. Se non fossimo coerenti fra ciò che viviamo e ciò che professiamo, la mente non sentirebbe quello stimolo dettato dallo specchio delle nostre azioni. La meditazione diventerebbe perciò un mero esercizio intellettuale, asfittico e falso.
DUBBIO: Ma non ci vogliono tanti anni prima di arrivare a simili risultati? In fondo non c’è alcuna fretta. Ci vuole quel che ci vuole.
PRATICA: Il Buddha ha sempre detto che il risveglio può essere anche immediato, anche solo ascoltando il Dhamma o la cosiddetta Origine Interdipendente dei fenomeni. Non ha mai sostenuto che ci volessero decenni di pratica. E’ chiaro che ognuno è un caso a sé, ma qui mi si chiede una generalizzazione. Il fatto che esistano meditanti che praticano da 30 anni e sembrano averne beneficiato così poco, non vuol dire che l’insegnamento del Buddha fosse fallimentare. E’ ovvio che c’è qualcosa che non torna. Innanzitutto bisogna vedere se si sta applicando il suo vero insegnamento. Questa è la cosa più importante. Ci sono tante scuole di derivazione e con tanti maestri, ma quello che bisogna vedere è se siamo di fronte all’insegnamento autentico del Buddha. La seconda cosa che dobbiamo vedere è in che modo questi insegnamenti sono integrati nelle nostre vite, quanto pratichiamo, quanto viviamo il Dhamma con le sue 4 Nobili Verità. Un tempo così lungo con scarsi frutti denunciano un problema dell’allievo, o del maestro. Oppure di entrambe. Insomma se non si vedono buoni frutti in un tempo ragionevole, allora la pratica stagna. O forse ci stiamo nascondendo. Il nostro ego si è impossessato anche della pratica, facendola apparire presente, ma spogliandola di tutto quello che la costituisce in profondità, della sua essenza.
DUBBIO: A volte, nonostante abbia molto rispetto del mio maestro, non riesco a seguirlo in tutto. Ci sono cose che non comprendo e che non mi interessano ancora. Chissà in futuro.
PRATICA: Non riuscire a seguire tutto quello che il nostro maestro ci propina è normale. All’inizio, però! Poi lentamente deve farsi strada dentro di noi una fiducia, non certo cieca, ma ben riposta, della sua esperienza, del suo esserci, del suo esserci già passato. Il sentiero è già stato battuto è anche se le menti apparentemente sono diverse, le caratteristiche di quel sentiero sono simili e ripercorribili per ognuno. Bisogna acquisire fiducia, altrimenti si finisce per banalizzare, rimandare, ostacolare il progresso. Si rischia di vedere gli insegnamenti come intromissioni, come delle esotiche e bizzarre elucubrazioni. Si rischia di vedere i consigli del maestro come proiezioni paternalistiche che soffocano quel rapporto, nevrotizzandolo e compromettendolo. Tutto questo non è deleterio per il maestro, ma per l’allievo. Ricordate la metafora dei ciechi con l’elefante? Ogni cieco ha la conoscenza di una parte dell’elefante e non vede il tutto, eppure crede di possederne l’intera immagine e struttura. E per questa credenza è addirittura mosso da desiderio di sopraffazione. Scoppiano guerre per queste visioni parziali, che si credono complete. Bisogna cominciare a riconoscere la propria ignoranza, la propria cecità momentanea. Questo sviluppa la nostra umiltà e di conseguenza ci apre alle infinite possibilità della vita con ascolto e accoglienza, che non significa essere dei creduloni.
DUBBIO: Sì, ma come faccio a sapere se ho imboccato la strada giusta. A volte penso che ho troppe difficoltà, che gli altri fanno meglio.
PRATICA: Un dubbio ossessivo e continuo è un pericolo per il nostro sviluppo. E’ l’impedimento più infido che esista. Si insinua con la voce della tenerezza e del cordoglio per la nostra condizione. Ci offusca. Bisogna assolutamente esserne consapevoli, il che non vuol dire schiacciarlo e scacciarlo. Ma restare presenti al suo sorgere e al suo fare capolino. E applicare le 6R. Per ciò che concerne la strada giusta, lascia che sia il tuo maestro a indicartela e a correggerla. Spesso l’allievo cade in una condizione contraddittoria: crede di aver bisogno di aiuto, ma sa bene cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ammette di soffrire, ma non appena glielo si fa notare, applica il metro della colpa e subito sconfina nell’orgoglio, giustificandosi, scusando il suo operato. Qui non ci deve essere un intento di colpevolizzazione, ma bisogna cominciare a coltivare un sentimento di umiltà e di accettazione della propria condizione, abbandonando l’orgoglio che ci ostacola nella nostra maturazione. Non c’è colpa negli inciampi, ma solo consapevolezza del cammino da percorrere e il riconoscimento dei propri limiti che stiamo per trascendere. Quindi bisogna abbandonare la nostra posizione ambivalente.
DUBBIO: A volte pur riconoscendo l’importanza della pratica, riesco a malapena a ritagliare un piccolo spazio, a fatica, di solito la mattina così non devo pensarci più per tutto il giorno.
PRATICA: La meditazione non è un impiccio da cui districarsi. Non deve essere relegata in uno spazio angusto e vista come nemica del nostro tempo. Come qualcosa che ci porta via i VERI divertimenti, la VERA vita. Dobbiamo cominciare a coltivare l’idea che la nostra vita a volta è un inganno, a volte rincorriamo le cose inessenziali e le consideriamo importanti. Anche vedere la televisione diventa più importante. Questo atteggiamento rende la pratica difficile e angosciosa. Il Buddha diceva che bisogna affrontare la pratica come un elefante che entra in un laghetto fresco di acqua dolce dopo un lunga esposizione al bollente caldo del meriggio. Dobbiamo coltivare il senso di gioia e di rifocillamento che ne derivano o deriveranno.
DUBBIO: Ma a volte è difficile io non ci riesco.
PRATICA: Si continua a scambiare ciò che è difficile con ciò che consideriamo piacevole. La nostra mente è talmente avvelenata dalle sue dipendenze inessenziali che non vuole star ferma senza far nulla. Ha un bisogno spasmodico di saturare i suoi sensi con immagini, sapori, suoni e altro. Ha voglia della sua dose di iper-recriminazioni, di afflizioni, di sostanze intossicanti, del vano chiacchiericcio, della sue fantasie perse nella pubblicità e nei film che vediamo. Ogniqualvolta ci fermiamo e fermiamo questo flusso di veleno e agitazione, ecco arrivare i capricci, gli attacchi di bulimia psichica, la voglia di identificarsi al di fuori di lei, maneggiando e manipolando ciò che la circonda. Ecco cosa significa il Retto Sforzo e la Retta Intenzione. Riconoscere questa condizione di partenza e coltivare l’opposto. All’inizio la mente farà i capricci, saboterà questa attività. Oppure la relegherà in uno spazio angusto come un compito già eseguito e che dobbiamo dimenticare per il resto della giornata. La Retta Intenzione deve essere lì a guidarci e quando i primi frutti della Meditazione e del Dhamma arriveranno (e non tarderanno ad arrivare se si seguono gli insegnamenti originali del Buddha) allora tutta questa agitazione cesserà. La mente comincerà a guarire. Continuiamo a coltivare l’idea che ciò che ci fa bene è piacevole, dolce e ci gratifica. E non vediamo invece che la mente indisciplinata, ingannata e intossicata CREDE che quello di cui si nutre sia dolce e piacevole, proprio come la falena crede che il fuoco che la ucciderà sia pura luce.
DUBBIO: Qual è il consiglio migliore che può darci?
PRATICA: Ad ogni colpo di arresto, ad ogni dubbio e difficoltà pensare a cosa avrebbe fatto il Buddha o che cosa ci avrebbe consigliato. Ciò presuppone la conoscenza del Dhamma e delle sue leggi che sono poche, ma profonde. Siate vigili alle lezioni di Dhamma, accoglietelo con entusiasmo e rispetto, e non invece con noia, sbadigli e sguardi perduti. Siate come una spugna. Una volta che il Dhamma sarà in voi, vi guiderà. Il Buddha diceva: “Chi vive nel Dhamma è protetto dal Dhamma”. La sua protezione nasce appunto dal conoscerne le leggi e le implicazioni. Quindi saper cosa avrebbe detto il Buddha, come ha affrontato quelle difficoltà. A volte si dimentica che il Buddha non è nato così, ha percorso un cammino per il suo risveglio e quel risveglio è qui per tutti noi. Basta volerlo e afferrarlo. Quindi il mio consiglio è coltivare la giusta motivazione, inzupparsi di Dhamma e quando sbagliamo o ci smarriamo guardiamo la Retta Intenzione per sapere la correzione di rotta e poi il Retto Sforzo per raggiungerla. Non è affatto complicato. Anzi! E perché lo vediamo così estraneo, allora? Beh, credo che questo ognuno di noi lo sa dentro se stesso. Basta solo decidere di separarsi da una dimensione egoica che non ci protegge e ci smarrisce. Bisogna aver il coraggio di allontanarsi da questo villaggio arido fatto di fantasmi e iniziare il nostro viaggio. L’unica cosa che vi posso rivelare è che fatto il primo passo, uno si chiede, poi, perché mai ha atteso così tanto tempo.
Buona pratica!


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